Montagne in bilico: l’alpinismo nell’era del cambiamento climatico
C’è stato un tempo in cui salire lungo la via normale della Marmolada era un rito d’iniziazione per molti alpinisti. Oggi, quel tempo sembra appartenere più ai libri di storia che all’attualità. Dopo il tragico crollo del ghiacciaio del 3 luglio 2022, la “Regina delle Dolomiti” è diventata simbolo di una montagna che cambia (troppo in fretta) sotto i nostri occhi.
La montagna si sta sgretolando, letteralmente. La degradazione del permafrost, il “collante” naturale che tiene insieme le pareti alpine, sta rendendo sempre più instabili tratti di roccia un tempo considerati sicuri. Il cambiamento climatico, per anni percepito come un fenomeno distante o futuro, è ormai inciso nella geologia stessa delle Alpi. E gli alpinisti, da sempre lettori esperti del paesaggio verticale, lo sanno bene: vie storiche diventano impraticabili, finestre stagionali si accorciano, rischi oggettivi aumentano.
Il prezzo dell’instabilità
Basta guardare al Monte Bianco per capirlo. Il Couloir du Goûter, tratto chiave della via normale francese, è stato teatro di ben 347 incidenti solo tra il 1990 e il 2017. Frane, cadute di massi e colate detritiche ne hanno fatto uno dei luoghi più pericolosi dell’arco alpino. Non a caso, negli ultimi anni, le autorità hanno più volte invitato gli alpinisti a rinunciare all’ascensione durante l’estate, consigliando l’accesso solo in primavera, quando il permafrost è ancora stabile e i rischi sono leggermente più contenuti.
Stessa sorte per la leggendaria via Bonatti sul Pilastro Sud-Ovest del Petit Dru, nel massiccio del Monte Bianco: un tempo celebrata come una delle imprese più visionarie del grande alpinista italiano, oggi è definitivamente cancellata dalle frane che dal 1997 ne hanno smantellato la struttura. Rimane, ormai, solo nei racconti e nelle guide alpinistiche d’epoca: un capitolo glorioso chiuso dal clima.
Ma non sono episodi isolati. Anche i sentieri e le vie attorno al Flüela Wisshorn, nei Grigioni svizzeri, hanno subito gravi conseguenze. La chiusura del 2019 per rischio caduta massi non è un caso isolato: il riscaldamento ha destabilizzato interi versanti, rendendo l’accesso sempre più incerto e subordinato a valutazioni geologiche frequenti. E nel Vallese, a Saas-Grund, le valanghe di ghiaccio e i distacchi di seracchi minacciano la sicurezza dei percorsi alpinistici, con finestre di accesso sempre più brevi e concentrate nei periodi più freddi.
Non è solo una questione di “vie perdute”: è la morfologia stessa della montagna a mutare. Le pareti rocciose sopra i 2.500 metri, come quelle del versante nord del Monte Rosa, mostrano segni evidenti di cedimento a causa del degrado del permafrost. Un’instabilità che, secondo le proiezioni, continuerà a crescere nei prossimi decenni, raggiungendo un picco entro il 2050, mettendo a rischio decine di percorsi, vie normali e traversate.
La montagna non crolla all’improvviso. Scricchiola, si scioglie, si muove e porta con sè bivacchi, rifugi, sentieri e vie alpinistiche. Per questo, chi la frequenta è chiamato oggi a una nuova forma di attenzione, fatta non solo di preparazione tecnica, ma di lettura climatica, consapevolezza geologica e capacità di rinuncia. Perché il prezzo dell’instabilità non è solo una via chiusa: è una nuova grammatica dell’alpinismo che si sta scrivendo, giorno dopo giorno, sotto ai nostri ramponi.

Verso un alpinismo di adattamento
Di fronte a una montagna che cambia rapidamente, anche il modo di viverla deve evolversi. L’adattamento non è più un’opzione, ma una necessità. Le stagioni “classiche” dell’alpinismo stanno traslando: dove prima si puntava all’estate, oggi le condizioni più sicure si trovano spesso in primavera o inizio autunno, quando il permafrost è ancora solido e le temperature contengono l’instabilità dei versanti.
Nei grandi ghiacciai come l’Aletsch, il più esteso delle Alpi, i tracciati vengono modificati di anno in anno per evitare crepacci aperti o pareti instabili. Nel Vallese svizzero, sul ghiacciaio del Trient o nelle vie attorno a Saas-Grund, si può procedere solo in condizioni molto specifiche: neve compatta, temperature sotto zero, partenze notturne o all’alba per minimizzare l’esposizione alle ore calde. L’alpinismo, da sfida contro la montagna, diventa sempre più un esercizio di ascolto e lettura del territorio.
In questo scenario, anche la preparazione deve cambiare. Le informazioni statiche delle guide cartacee non bastano più: oggi è fondamentale consultare fonti aggiornate in tempo reale, come i bollettini nivometeorologici, i report delle guide alpine locali, gli avvisi di instabilità dei ghiacciai e i dati dei sistemi di monitoraggio geologico. Strumenti come i portali dei servizi meteorologici nazionali, le mappe interattive e le piattaforme di segnalazione delle condizioni dei sentieri diventano alleati indispensabili.
Anche la logistica va ripensata. Le salite vanno pianificate con margini di flessibilità più ampi, includendo piani B realistici. L’attrezzatura tecnica deve essere selezionata con maggiore attenzione: in molti casi, procedere legati su ghiacciaio è tornato a essere una regola imprescindibile anche su percorsi considerati “facili” fino a pochi anni fa. Le cordate devono saper valutare le condizioni in loco e rinunciare se necessario, senza considerare il “fallimento” come tale, ma come espressione di consapevolezza.
L’alpinismo, oggi, richiede nuove competenze: conoscenze glaciologiche, capacità di lettura dei segnali del terreno, sensibilità meteorologica. La sfida non è solo tecnica, ma culturale. Perché adattarsi non significa “fare meno”, ma “fare meglio”, con un rispetto profondo per l’equilibrio precario in cui la montagna si trova.
Sci alpino: il futuro in bilico sotto la linea della neve
Non è solo la verticale a soffrire. Anche gli sport invernali, e in particolare lo sci alpino, si trovano oggi a fare i conti con una realtà che cambia. Il riscaldamento globale sta spingendo sempre più in alto la “linea della neve” — la quota minima a cui si può garantire un innevamento naturale affidabile.
Secondo uno studio recentemente pubblicato, se le emissioni globali continueranno ai ritmi attuali, oltre il 50% delle stazioni sciistiche europee sarà “a rischio neve” già entro il 2050. Questo significa stagioni accorciate, innevamento artificiale sempre più costoso e impatti ambientali aggiuntivi, legati al consumo di energia e risorse idriche.
In Italia, le località al di sotto dei 1.500 metri già oggi faticano a garantire stagioni regolari e si basano quasi interamente su l’innevamento artificiale. Alcune, come quelle dell’Appennino o delle Prealpi lombarde, hanno perso più della metà delle giornate sciabili rispetto agli anni ’80. E la tendenza non accenna a fermarsi.
Le implicazioni sono anche simboliche: le Olimpiadi invernali, da sempre vetrina globale degli sport sulla neve, rischiano di diventare impraticabili in molte delle sedi storiche. Uno studio dimostra che, in uno scenario di riscaldamento incontrollato, solo 1 su 21 delle città che hanno ospitato i Giochi invernali dal 1924 ad oggi sarà ancora “climaticamente affidabile” entro fine secolo.
In questo contesto, il turismo della neve dovrà scegliere: continuare a rincorrere l’innevamento a suon di cannoni, oppure ripensarsi in chiave di sostenibilità, diversificazione e adattamento. Sempre più località stanno sperimentando un modello “4 stagioni”, puntando su escursionismo, bike e cultura. Ma il cambiamento richiede investimenti, visione e soprattutto consapevolezza.
L’alpinismo e la frequentazione della montagna stanno affrontando sfide senza precedenti. La sicurezza, la percorribilità delle vie e la stessa esistenza di molte attività legate alla neve sono in pericolo. Non si tratta più solo di adattarsi, ma di agire — come comunità, come istituzioni, come sportivi — per contenere l’impatto climatico e salvaguardare ciò che le montagne rappresentano.
Ogni via che crolla, ogni stagione che si accorcia, ogni ghiacciaio che arretra, è un segnale. Sta a noi decidere se continuare a ignorarlo — o se trasformarlo in una chiamata all’azione.
Cover image © Andrea Palazzi
Fonti principali:
- Haeberli, W. et al. (2023), High-mountain permafrost and glacial hazards, Science of The Total Environment.
- Studio sul Couloir de Guoter (Monte Bianco): https://www.petzl.com/fondation/s/accidents-couloir-gouter?language=fr
- Scott, D. et al. (2023), Climate change and the future of the Olympic
- Winter Games: athlete and coach perspectives: https://web.archive.org/web/20220218013114id_/https://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/13683500.2021.2023480?needAccess=true
- Phys.org: Alpine climbing routes crumble as climate warms: https://phys.org/news/2019-07-alpine-climbing-routes-crumble-climate.html
- Climate change and the climate reliability of hosts in the second century of the Winter Olympic Games: https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13683500.2024.2403133